martedì 31 dicembre 2024

Sergio Marucchi e la sua Rongio

 

Grande appassionato di storia di Masserano e del Biellese, nonché vicepresidente del DocBi – Centro studi biellesi, Sergio Marucchi, è il ricercatore di riferimento per Rongio, frazione di cui i genitori erano originari.

«Sono nato a Johannesburg, in Sudafrica, nel 1954 – dice -. Nella vita sono stato insegnante di fisica per 36 anni e mezzo a Biella e a Vallemosso, in precedenza a Borgosesia, Varallo e a Vercelli. In effetti sono 50 anni che raccolgo tutto ciò che riguarda Rongio, a un livello quasi maniacale. Sono appunti raccolti in quaderni». Marucchi ne dà saggio mostrandone uno, con annotazioni che vanno dal 1971 al 1978: «L’idea è poi di organizzarli per lasciarne memoria, ma è un lavoro di nicchia – spiega ancora -. Sono testimonianze preziose di persone che non ci sono più, voci che altrimenti sarebbero scomparse del tutto. Le più vecchie erano nate negli anni 70 dell’800. Ho ricordo di un uomo nato in Sudafrica nel 1889, che mi ha raccontato cose viste, vissute, nei primi del ‘900. Ho iniziato raccogliendo le storie delle famiglie e ho proseguito con l’evoluzione della lingua, con i proverbi, con le vicende legate all’emigrazione, fino a registrare i nomi delle piante e degli animali e a raccogliere oggetti. Si potrebbe realizzare un museo etnografico, che in parte ho già iniziato a organizzare».

Altra particolarità che caratterizza la ricerca di Marucchi sono gli alberi genealogici delle famiglie di Rongio, realizzati con dovizia i dettagli, di date, sui quali ha scritto un articolo. «Ho potuto ricostruire le storie grazie a Don Vittorino Barale, che mi aveva dato la possibilità di consultare gli archivi. La parrocchia di Rongio è diventata autonoma nel 1761. Per le ricerche più datate ho dovuto fare riferimento all’archivio di Masserano. Gli atti più antichi di alcune persone risalgono al 1613, quindi i loro genitori potevano essere della fine del 1500».

L’albero genealogico della famiglia di Marucchi è un enorme foglio di carta, con le dimensioni di un lenzuolo matrimoniale. «Il mio avo più antico si chiamava Giovanni Marucchi, nato nel 1600 circa. Allo studio ci lavoro da 40 anni, ma non in modo continuativo, per motivi di lavoro e di famiglia. Per vent’anni ho lavorato anche per il Cordar – la società che si occupa del servizio idrico provinciale, ndr – e ho fatto parte, per altri 20, del consiglio di amministrazione della Cooperativa agricola “La Baraggia”. Oggi capita che mi contattino persone che cercano di ricostruire le loro origini rongesi. È un lavoro da fanatico, se vuoi esagerato. Gli alberi sono costruiti nei rami maschili, ma nel mio ho cercato anche i femminili fino all’ottava/undicesima generazione. La tavola conta 256 ascendenti, 8 generazioni. L’aspetto interessante è che a volte si sovrappongono, perché si sposavano fra parenti».

In passato Marucchi si era interessato di suonatori popolari e di danze tradizionali della Valle Cervo. «Un tempo si faceva musica folk revival, con un gruppo folkloristico. Avevo fatto parte de “I Tessior” di Biella, che non esiste più. Dopo il matrimonio, avevo vissuto per qualche anno a Rosazza e con Gianni Valz Blin, avevo ricostruito la storia della tradizione, scrivendo alcuni articoli. In Alta Valle Cervo non c’erano bande, perché la migrazione spinta portava gli uomini a lavorare lontano. I balli però servivano ad organizzare fidanzamenti e matrimoni nei periodi invernali, quando gli uomini erano a casa. In tempi più recenti ho fatto ricerche sulla presenza del lupo e dell’orso nel Biellese e sull’ultima esecuzione capitale legale, con impiccagione, eseguita nel Biellese, a Quaregna, nel 1843».

Fra gli studi di Marucchi, da sviluppare, ci sarebbe lo studio dei dati raccolti.

«Sarebbe interessante esaminare gli indici demografici, le natalità e le mortalità, soprattutto infantile. Oggi di bambini a Rongio non ne nascono più, però, per esempio, nel 1890 più del 25% dei bimbi moriva entro l’anno di vita. La mortalità è poi scesa ancora di più, dal 1891 al 1920 si era ridotta a un sesto, un bambino su sei moriva nel primo anno di vita. Dal 1921 al 1940, erano uno su ventitré. Dopo quella data i bambini erano talmente pochi che le statistiche non hanno più valore».

Come nasce la passione per la ricerca storica?

«Non lo so dire. Certamente ha influito l’amicizia con don Vittorino Barale. Lui aveva scritto libri su Masserano, Curino e Brusnengo e mi incuriosiva. Mi interesso di un po’ di tutto. Ci tengo ad andare a fondo. Rongio non è particolarmente bello; vivere lì è stata la mia avventura e oggi mi sento un sopravvissuto. Tutte le persone anziane con cui parlavo non ci sono più. Rimangono due ultra novantenni e chi vuole sapere di Rongio chiede a me. Il rammarico è di non avere continuità. I miei figli non credo proseguiranno. Il mio sogno sarebbe di vivere con la famiglia a Rongio. Temo invece che il museo rimarrà incompleto. Un depositario sarà il DocBi, in cui ci sarà una sezione dedicata alle mie ricerche, che è una bella realtà e il prossimo anno festeggerà 40 anni dalla fondazione. Negli anni il DocBi Odv ha realizzato decine di mostre e restaurato e recuperato centinaia di opere. Ricordiamo che vanta un archivio immenso legato all’industria tessile, in cui si muovono diversi volontari. Abbiamo una sede rimessa a nuovo a Biella, un gruppo che si occupa della digitalizzazione dei documenti e un altro che segue la manutenzione della “Fabbrica della ruota” di Pray».

Anna Arietti

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