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martedì 9 luglio 2024

Anello Val Servin (Balme) di Giorgio Inaudi

Balme (To). La piena dei torrente Paschiet ha asportato la passerella in località Pian Salè non è possibile percorrere completamente l'anello del Sentiero Natura, allestito da Cai di Lanzo nel bel vallone di Servin, uno dei pochi non ancora stravolti dalle opere dell'uomo.


Anello Val Servin (Balme)Un percorso nella natura e nella storia in un angolo solitario e suggestivo dell’alta Valle di Lanzo.

Il tragitto tutto segnalato con bolli rossi e nei punti più innevati con lunghi pali, presenta nei punti più salienti una cartellonistica illustrante notizie storico e logistiche, il lavoro svolto dal CAI Lanzo tramite i suoi soci intende offrire all'escursionista un'itinerario attrezzato per racchette da neve unico nel suo genere.

Località: Comune di Balme – Val d’Ala – Valli di Lanzo (TO)

Quota minima: m 1446 - Quota massima:m 1600 - Tempo di percorrenza: ore 3

Epoca: inverno con racchette da neve

Informazioni: Umbro Tessiore (0123.82971)
Castagneri Saverio (338.7456049)

Oggi nessun escursionista rimpiange le vecchie racchette tradizionali, quelle di corda intrecciata. Eppure pochi sanno che le racchette rigide, del resto assai più adatte all’ambiente alpino, furono usate per secoli dai montanari delle alte valli. Naturalmente erano in legno e non in plastica, ma servivano egregiamente per superare ripidi pendii di neve gelata in condizioni altrimenti proibitive. Ad introdurle nelle Valli di Lanzo furono probabilmente i minatori che sfruttavano i giacimenti di ferro in alta quota e divennero strumento indispensabile dei contrabbandieri che transitavano in ogni stagione attraverso gli alti valichi con la Savoia.

Mappa del percorso
Venite a seguire le tracce di questa epopea montanara percorrendo l’Anello di ValServìn nella conca di Balme, il più alto comune delle Valli di Lanzo. Sarà l’occasione di una piacevole escursione nella bella stagione oppure di qualche ora di cammino con le racchette ai piedi durante l’inverno (che quassù da noi dura sei mesi). Scoprirete ciò che rimane della secolare opera dell’uomo, incisioni preistoriche, un’antica ghiacciaia naturale, un villaggio abbandonato dove s’insediarono nel medioevo minatori di origine savoiarda, bergamasca e valsesiana. Tutto in un ambiente incontaminato, tra grandi boschi di faggi e di larici, pareti rocciose e cascate di ghiaccio, dove non è raro imbattersi nelle impronte degli aironi intenti a pescare nelle pozze gelate del torrente, per non parlare dei camosci e dei caprioli e di tanti altri abitanti del bosco (non esclusa la lince…).
Al termine della gita avrete la possibilità di visitare un villaggio che si presenta come museo vivente della vita montanara, con la frazione Cornetti, dove la vita sembra essersi fermata a un secolo fa, la casa fortificata del Routchàss, fondata dal capostipite dei Balmesi nel XVI secolo, la cappella quattrocentesca dove sostò la Sindone durante il trasferimento da Chambéry a Torino, il Museo delle Guide Alpine, dove rivivono le glorie dei pionieri dell’alpinismo torinese e dei montanari di Balme che li guidarono un po’ dappertutto nelle Alpi Occidentali.
Senza trascurare il fascino della musica francoprovenzale e neppure i sapori schietti dei cibi e delle bevande di una volta, come il caffè alla Balmese, che scoprirete da soli e che certamente apprezzerete dopo una giornata passata nel crudo clima dell’alta montagna.
L’itinerario prende l’avvio dalla piazza di Balme, di fronte alla chiesa parrocchiale (che merita anch’essa una visita). Si segue la stradina che porta alla frazione Cornetti, situata sul lato opposto della valle, passando accanto a una piccola sciovia. Già esistente nel XIII secolo, il villaggio è il più alto abitato permanente delle Valli di Lanzo e uno dei meglio conservati.
Soprattutto la parte interna presenta numerose abitazioni profondamente interrate, a difesa contro il freddo, e stretti vicoli tortuosi, detti quintàness nel locale patois francoprovenzale, quasi interamente coperti dagli spioventi dei pesanti tetti di lose, in modo da offrire protezione sia dal vento sia dalle copiose nevicate. Alcune case ancora recano le insegne di attività commerciali ed artigianali ormai remote nel tempo, ma la frazione ospita tuttora alcune stalle dove in inverno prosegue l’allevamento di bestiame secondo le modalità tradizionali. Di particolare interesse la cappella di S. Anna, dove sono custoditi numerosi ex-voto ed alcuni affreschi recanti gli stemmi delle famiglie Martinengo e Castagneri e l’antico Lazzaretto, ora trasformato in stalla, sormontato dall’immagine della Vergine e Santi, dove i malati venivano raccolti in occasione delle pestilenze (l’ultima volta fu in occasione dell’epidemia di febbre spagnola nel 1918).
Dalla piazzetta al centro della borgata (detta Airëtta, dove si faceva la battitura della segale) inizia la segnalazione del percorso, che sale lentamente fino a raggiungere le case più alte. Si raggiunge così un breve pianoro detto Pra Sec. Di qui la vista spazia sul vecchio centro di Balme e sulla grandiosa parete che sovrasta il paese (Ròtchess d’Bàrmess). Attorno al grande muro paravalanghe che protegge il villaggio, spesso è possibile scorgere branchi di stambecchi che in primavera scendono fin presso le case (non dimenticare il binocolo!).
La salita riprende piuttosto ripida, fino a raggiungere le case Arbosëtta, capolinea della piccola sciovia del Pakinò, oltre il quale si apre il vallone di Servìn. Il percorso prosegue in leggera discesa, attraversa un ripido canale e quindi scende alla borgata Li Fré (che significa "i fabbri"), m 1495.
L’insediamento fu fondato nel secolo XV (nei pressi della piazzetta si conserva una lastra di pietra che reca la data 1486) da minatori bergamaschi e valsesiani venuti a sfruttare le miniere di ferro del monte Servin, a quasi 3000 metri di altezza. Il minerale veniva trasportato a valle mediante apposite slitte e subiva una prima riduzione in una rustica forgia che sorgeva nel pianoro sottostante le case. Il metallo veniva in parte lavorato sul posto, in parte trasportato in bassa valle, dove veniva trasformato in serrature (a Ceres) e in chiodi (Mezzenile, Pessinetto e Traves).
Nel XVIII secolo le miniere furono ricoperte da un piccolo ghiacciaio (Vedretta di Servin, ancora esistente pur se in via di estinzione), mentre cominciò a scarseggiare la disponibilità di legname da trasformare in carbone di legna per alimentare le forge. Per questi motivi l’attività di sfruttamento minerario declinò rapidamente e i Balmesi dovettero riconvertirsi ad una misera economia di agricoltura d’alta montagna, riuscendo a sopravvivere con i pochi proventi di un pericoloso traffico (in realtà era contrabbando, ma questa parola a Balme non viene mai pronunciata!) con la vicina Savoia, attraverso gli alti valichi del Col d’Arnass e del Collerin). Nel secolo seguente, con la nascita dell’alpinismo, i Balmesi misero a frutto la loro conoscenza della montagna trasformandosi in provette guide alpine.
In tempi più recenti il villaggio dei Fré cessò di essere abitato in permanenza e divenne uno dei tanti insediamenti temporanei della transumanza estiva. La perfetta muratura a secco di molte case testimonia la perizia dei minatori che costruirono il villaggio, mentre la tipologia delle abitazioni, meno interrate, e con aperture più ampie di quelle dei Cornetti, conferma l’originaria destinazione ad attività artigianali e non agricole della popolazione. I balconi in legno sono un’aggiunta del secolo XVIII, quando la riconversione forzata all’agricoltura rese necessaria l’essiccazione dei cereali, che spesso la rigidità del clima obbligava a mietere prima della completa maturazione.
Attraversata la frazione, si prosegue in direzione delle case Kiòss, per raggiungere l’imboccatura di una miniera abbandonata, dalla quale veniva estratto minerale di talco. Prima di giungere alla miniera può essere interessante soffermarsi davanti ai resti della baita del Casoùn, interamente costruita sfruttando un grande riparo sotto roccia come tetto. Questi ripari sono detti bàrmess e da essi deriva il nome di Balme.
In un fitto bosco, il sentiero prosegue verso l’alpe Tchavàna, per poi discendere fino al fondovalle, in prossimità di un’immane roccia attraversata da una gigantesca fenditura. Annidata alla base della rupe sorge la baita Li Soùgn (gli acquitrini), m 1518. Di fronte alla baita, alla sommità un masso annerito dal fuoco, si possono scorgere coppelle incise nella roccia, a testimonianza dell’antichissimo insediamento umano nel luogo.
Il percorso prosegue costeggiando il torrente fino alle cascate del Rio Pountàt, che d’inverno si tramutano in palestra di ghiaccio dove non è raro vedere impegnate cordate di ice climbers. Altro incontro possibile è quello con gli aironi intenti a pescare dal bordo delle pozze ghiacciate. Si attraversa quindi la testata del vallone, superando il torrente su una rustica passerella di legno.
Si raggiungono così le baite di Piàn Salé (m 1600) dove si incrocia il sentiero GTA che porta al Col Paschièt, in direzione di Lemie.
La pista scende ora lungo il lato destro del vallone di Servìn, fino ad attraversare il ripidissimo canalone della Riva Loundji, percorso, ad ogni caduta di neve, da una grande valanga che precipita direttamente dalla cima del Monte Fort. Con un po’ di fortuna, nella parte alta del canalone, si possono vedere camosci. Sempre in leggera discesa, si attraversano ampie praterie (l’Sàgness, che significa "gli acquitrini") e poi un versante esposto ai venti di settentrione e per questo chiamato Tiralòra. Entrati in un fitto bosco di faggi si giunge all’estremità superiore di un pendio erboso assai ripido, che in passato serviva per far rotolare i tronchi d’albero, il cui nome lou Rountch, ricorda l’opera di disboscamento e dissodamento.
Il panorama torna ad allargarsi e si scorge la vetta della Ciamarella, massima elevazione delle Valli di Lanzo (m 3676).
Seguendo un sentiero tra salti di rocce, si scende fino alla Ghiacciaia, chiusa da una rustica porta di legno che permette di accedere a una galleria e un anfratto naturale della montagna che poteva essere riempito di neve attraverso un pozzo naturale. La neve durava tutta l’estate e veniva utilizzata per conservare le carni. Si risale quindi il torrente fino alla radura di Pian Tchurìn, dove una caratteristica sorgente richiama spesso la presenza di animali selvatici; a poca distanza si raggiunge un bel ponte detto Pount Bianc..
Ritornati alla frazione Cornetti, si risale la borgata, passando accanto alla fontana del Corn (sormontata da un corno di stambecco) che ricorda nel nome quello della famiglia di minatori (i Cornetto) che fondarono l’insediamento nel XIII secolo. Si osservi la bella pavimentazione in pietra (lou stèrni), realizzata nel 1996 da un abile artigiano della valle, Giovanni Cristoforo detto Ninétou. Di qui si ritorna al capoluogo seguendo il percorso d’andata.
In alternativa, ritornati al Pra Sec, si può seguire la pista pianeggiante che attraversa la sciovia e si inoltra nella gola della Gòrdji, dove le acque dello Stura precipitano fragorosamente in una cascata alta alcune decine di metri (nei pressi si vede l’antica condotta forzata e centrale elettrica inaugurata nel 1909 e ancora in uso!).
Oltrepassato il ponte sulla cascata, si giunge in pochi minuti nel vecchio centro di Balme, che merita una breve visita. Dal piazzale davanti al rudere dello storico Hotel Camussòt è visibile l’insegna della primitiva sede della locanda, risalente alla metà del XIX secolo, che fu poi sostituita dalle due grandi costruzioni che sorgono di fronte. Per oltre un secolo il Camussòt fu tra i più illustri alberghi di montagna delle valli piemontesi e fu gestito dalla famiglia Bricco, discendente dalla guida alpina Giacomo Bricco detto Camussòt (1845-1904), noto cacciatore di camosci. Alloggiarono al Camussòt e lasciarono traccia del loro soggiorno sul Libro dell’Albergo numerosi protagonisti dell’esplorazione alpina negli anni a cavallo del secolo ed esponenti della cultura italiana di fine Ottocento, come Eleonora Duse, Giosué Carducci, Guglielmo Marconi. Interessante la vista sulla distesa di tetti coperti da lastre di pietra (lòsess).
Si scendono alcune rampe verso la parte più antica dell’abitato fino alla piazzetta detta Ls’Airess, antico centro del paese e luogo di incontro, dove in occasione di alcune feste (SS. Trinità e Ferragosto) vengono tuttora eseguite musiche e danze della tradizione locale. Proseguendo verso valle si possono osservare i caratteristici cunei paravalanghe (tchòmess) che proteggono le case più a monte dall’urto delle masse di neve che precipitano dalle pareti soprastanti.
Ritornare nella piazzetta di Ls’Airess e scendere verso la carrozzabile attraverso un sottopasso ad arco. Si trovano qui i resti della più antica cappella del paese, risalente al secolo XV sulla base di alcuni affreschi di carattere gotico, dove autorevoli studiosi ritengono che abbia sostato la S. Sindone nel 1535, quando la Reliquia fu trasportata clandestinamente da Chambéry a Torino. La cappella fu sconsacrata probabilmente in occasione della costruzione della nuova Chiesa, dopo la costituzione della Parrocchia nel 1612. È questo la parte più antica del paese, risalente probabilmente al ‘200, e sopravvissuta alle demolizioni del primo ‘900, quando fu costruita la strada per l’acquedotto di Torino al Pian della Mussa.
Di fronte all’arco, al di là della strada carrozzabile, si apre il buio accesso alla casa fortificata del Routchàss, massiccia costruzione a tipologia difensiva, eretta in varie fasi successive nel corso del secolo XVI alla sommità di un promontorio roccioso. Un unico tetto di dimensioni gigantesche copre una serie di stretti passaggi e di scale coperte che conducono ad una loggia con vista sulla valle sottostante (iscrizione incisa nella roccia del fondatore Gian Castagnero 1591) e agli affreschi del XVII secolo raffiguranti una Deposizione ed un ciclo di Storie del Battista (cena del Re Erode e decollazione di S. Giovanni).
La costruzione del Routchàss è strettamente legata alla costituzione del Comune (1610) e della Parrocchia (1612) di Balme, in quanto l’insediamento dei Castagneri segnò l’inizio dello sviluppo del paese come centro metallurgico e minerario. Numerose storie e leggende tuttora tramandate da una generazione all’altra illustrano la figura di Gian Castagnero (1550-1643), fondatore dell’autonomia balmese e capostipite della quasi totalità dell’attuale popolazione del paese. In particolare viene indicata la sua forgia e, nei sotterranei dell’edificio, il luogo dove egli coniava monete con l’oro di una miniera di cui egli solo conosceva il segreto.
La visita si può concludere con la visita del Museo delle Guide Alpine che sorge nel corpo di fabbrica della chiesa parrocchiale (chiavi presso il Bar Centrale). Vi sono conservati i cimeli di una gloriosa epopea che vide i montanari di Balme, tra cui il celebre Antonio Castagneri detto Toni dìi Touni, protagonisti dell’esplorazione alpinistica delle Alpi Occidentali.

Giorgio Inaudi

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