Cosa ti induce a esplorare una nuova forma poetica?
«Non è stata una scelta immediata, ho sempre amato il sonetto – spiega -. In particolare mi sono appassionata alla produzione di Paolo Marconi, sonettista anconetano che scrive sui canali social e pubblica antologie. È, lo ricordo, compositore e giornalista, annoverato fra i poeti italiani del Novecento, voce competente nel mondo del sonetto contemporaneo. È colui che mi ha spronata ad approfondire questa “nuova” forma di componimento e ha curato la prefazione della silloge. Posso dire che, per certi versi, “Il vagone bianco” è la continuazione della raccolta precedente scritta in versi liberi. A mio avviso il sonetto non è mai tramontato, è ancora adatto alla nostra epoca fatta di concisione, di brevità. Il mio è un tentativo di raggiungere il più possibile un esito di concisione armonica. Il sonetto prevede una forma poetica abbastanza chiusa, è una sfida che obbliga a un lavoro continuo di limatura, di rifacimento, per arrivare all’essenza “perfetta” tra forma e contenuto. Mi sono avventurata in questo percorso, anche abbastanza periglioso, perché mi ha sempre ammaliata, già in passato, e ora grazie all’incoraggiamento di Paolo Marconi, ho deciso di sperimentarlo, sperando di raggiungere la costruzione efficace, l’equilibrio magico tra la parola e la sua essenza, di tornare alla verginità della parola, utilizzando a volte termini non consueti. È un sentiero percorso con umiltà e in punta di penna, con il desiderio di perfezionamento costante, cercando di fare in modo che alla fine fosse sempre l’anima a dettare le regole, nonostante il rigore metrico che il sonetto impone. La silloge comprende temi diversi, dalla guerra al dolore. Sono gli stessi componimenti che pubblico sui social, che poi riprendo in mano e cerco di perfezionare grazie ai suggerimenti di Paolo Marconi».
Il titolo da te scelto, “Il vagone bianco”, incuriosisce, stimola a saperne di più.
«Nasce da una poesia in forma libera, con versi sciolti, che s’intitola proprio “Il vagone bianco” e che chiude la silloge che comprende 59 componimenti, di cui 29 sonetti e 30 versi liberi. L’idea del vagone è un’immagine che mi balena spesso nella mente, mi affascina e ricorre nei sogni, nella fantasie, nelle riflessioni. È una sorta di collegamento fra Cielo e Terra. È un vagone, come lo vediamo in copertina, che sembra volare, seguendo una traiettoria fra le nuvole. Simboleggia un collegamento fra la nostra dimensione di sofferenza inaudita, di limitatezza terrena, e il cielo, visto come la speranza che va al di là delle brutture. La raccolta include una poesia intitolata “La feritoia” attraverso la quale possiamo vedere il bello che c’è oltre. Nella sinossi, si legge: il sonetto si alterna al verso libero, in una sfida tra il rigore della forma e la libertà di un’anima inquieta, dove la natura si fa stupore e conforto in un eterno ossimoro dinanzi all’intimità universale del dolore. Eppure, oltre il male di vivere resta una feritoia da cui è possibile vedere al di là dell’inferno, “appoggiando le ossa del cuore alla banchina dei sogni, in attesa del vagone bianco”».
Anna Arietti
La fotografia di copertina è messa a disposizione di Baffidigatto da Anna Raviglione
I diritti relativi ai testi, alle fotografie e ai video presenti in questo portale, ove non diversamente indicato, sono di proprietà di chi collabora con noi e degli autori stessi.
Chiunque desideri copiare fotografie e testi da questo blog è pregato di citare la fonte www.baffidigatto.com e le autrici Anna Arietti ed Enea Grosso, in quanto a monte c'è un grande impegno portato avanti soltanto con la passione! Grazie.
«Non è stata una scelta immediata, ho sempre amato il sonetto – spiega -. In particolare mi sono appassionata alla produzione di Paolo Marconi, sonettista anconetano che scrive sui canali social e pubblica antologie. È, lo ricordo, compositore e giornalista, annoverato fra i poeti italiani del Novecento, voce competente nel mondo del sonetto contemporaneo. È colui che mi ha spronata ad approfondire questa “nuova” forma di componimento e ha curato la prefazione della silloge. Posso dire che, per certi versi, “Il vagone bianco” è la continuazione della raccolta precedente scritta in versi liberi. A mio avviso il sonetto non è mai tramontato, è ancora adatto alla nostra epoca fatta di concisione, di brevità. Il mio è un tentativo di raggiungere il più possibile un esito di concisione armonica. Il sonetto prevede una forma poetica abbastanza chiusa, è una sfida che obbliga a un lavoro continuo di limatura, di rifacimento, per arrivare all’essenza “perfetta” tra forma e contenuto. Mi sono avventurata in questo percorso, anche abbastanza periglioso, perché mi ha sempre ammaliata, già in passato, e ora grazie all’incoraggiamento di Paolo Marconi, ho deciso di sperimentarlo, sperando di raggiungere la costruzione efficace, l’equilibrio magico tra la parola e la sua essenza, di tornare alla verginità della parola, utilizzando a volte termini non consueti. È un sentiero percorso con umiltà e in punta di penna, con il desiderio di perfezionamento costante, cercando di fare in modo che alla fine fosse sempre l’anima a dettare le regole, nonostante il rigore metrico che il sonetto impone. La silloge comprende temi diversi, dalla guerra al dolore. Sono gli stessi componimenti che pubblico sui social, che poi riprendo in mano e cerco di perfezionare grazie ai suggerimenti di Paolo Marconi».
Il titolo da te scelto, “Il vagone bianco”, incuriosisce, stimola a saperne di più.
«Nasce da una poesia in forma libera, con versi sciolti, che s’intitola proprio “Il vagone bianco” e che chiude la silloge che comprende 59 componimenti, di cui 29 sonetti e 30 versi liberi. L’idea del vagone è un’immagine che mi balena spesso nella mente, mi affascina e ricorre nei sogni, nella fantasie, nelle riflessioni. È una sorta di collegamento fra Cielo e Terra. È un vagone, come lo vediamo in copertina, che sembra volare, seguendo una traiettoria fra le nuvole. Simboleggia un collegamento fra la nostra dimensione di sofferenza inaudita, di limitatezza terrena, e il cielo, visto come la speranza che va al di là delle brutture. La raccolta include una poesia intitolata “La feritoia” attraverso la quale possiamo vedere il bello che c’è oltre. Nella sinossi, si legge: il sonetto si alterna al verso libero, in una sfida tra il rigore della forma e la libertà di un’anima inquieta, dove la natura si fa stupore e conforto in un eterno ossimoro dinanzi all’intimità universale del dolore. Eppure, oltre il male di vivere resta una feritoia da cui è possibile vedere al di là dell’inferno, “appoggiando le ossa del cuore alla banchina dei sogni, in attesa del vagone bianco”».
Anna Arietti
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Chiunque desideri copiare fotografie e testi da questo blog è pregato di citare la fonte www.baffidigatto.com e le autrici Anna Arietti ed Enea Grosso, in quanto a monte c'è un grande impegno portato avanti soltanto con la passione! Grazie.
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Per informazioni contattare anna.arietti@gmail.com
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Grazie di cuore, Anna Arietti, per questo bellissimo articolo che ha saputo raccontare l'essenza della silloge.
RispondiEliminaGrazie di cuore, Anna Arietti, per questo bellissimo articolo capace di raccontare l'essenza della silloge.
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