A dire il vero, era una partenza al contrario, era un ritorno, ma sempre in viaggio ero, anzi eravamo in tre.
Era tempo di chiudere la valigia. Poco prima avevamo ringraziato tutti per l'ospitalità. Fuori pioveva ed ugualmente era passata per un "buon viaggio" la cornacchia che spesso ci faceva visita al balcone, gracchiando. Doveva aver capito che quel giorno sarebbe stato l'ultimo.
Nella stanza, con le stuoie sul tatami, il tempo stringeva.
Teiko, diligente come soltanto una giapponese può essere, con la testa china sul bagaglio, riponeva i suoi oggetti. L'avevo osservata. Andava a colpo sicuro. Ogni indumento, ben ripiegato su se stesso, veniva sistemato in uno spazio, come se fosse l'unico in grado di accoglierlo. Ancora prima, aveva messo nel cesto della biancheria da lavare, il pigiama che ci era stato dato in dotazione, ma che soltanto lei, sempre allineata al sistema, aveva utilizzato. Francamente, con il caldo a volte soffocante per l'umidità, non era adatto.
Accanto a lei c'ero io, che senza alcun metodo, cacciavo dentro magliette, gonne, ciabatte e qualche souvenir. Alla fine, c'era stato tutto ed ero soddisfatta. Al ritorno si sa che le borse tendono a essere più gonfie. E penso di essere stata la prima a concludere l'operazione.
E arriviamo all'altra compagna di stanza, Enea, di nuovo mia dirimpettaia. Con le stuoie è così, la camera te la giri come vuoi.
Anche lei era chiamata all'ordine, e uso una parola forte. Premetto, il suo modo di vestire è di una semplicità disarmante, leggera, eppure elegante. Mi ha sempre ricordato una di quelle farfalle dai colori fantastici. La sua valigia però era la più grande. Quale fosse il contenuto non era chiaro, ma ancora meno avremmo potuto avvicinarlo. Immagino ali mimetiche dalle fogge diverse. E fiori, tanti, che spesso lega fra i capelli, raccolti a crocchia sul dietro.
Nella stanza regnava il silenzio, come quando si vive un'attesa, uno stravolgimento imminente. Lei svolazzava da un capo all'altro del letto, pardon della propria stuoia. La notavo con la coda dell'occhio e intorno ai suoi piedi c'era tanto. Ogni volta, i mucchietti di oggetti invece di ridursi, aumentavano, e la valigia era lì accanto, con lo sguardo moscio, vuota.
Nel mostrarle attenzione in modo più esplicito, Enea a volte sorrideva, altre rilanciava una parola, come rapita dal compito assegnato. Intanto, noi, chiudevamo le cerniere, bloccavamo le chiusure con i codici, sperando di ricordarli. Teiko aveva poi raccolto le proprie borse e si era avviata all'ingresso. Anch'io avrei potuto fare altrettanto.
Dopo parecchio, e questo penso basti per concludere, ci eravamo avviate tutte e tre verso l'uscita.
Ne parlo con affetto di quella partenza, per molteplici motivi. Diciamo che la narrazione mi riporta a un giusto equilibrio, al buonumore.
Per completezza di cronaca, Enea ricorda che avessi domandato ospitalità nei suoi bagagli per alcuni effetti miei, francamente non ne ho memoria, ma la richiesta non aveva avuto seguito e su questo punto concordiamo.
Anna Arietti
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