Il paese conta meno di mille abitanti ed è circondato da risaie e da cascine sparse. Il luogo d'incontro estivo più vivace è il centro sportivo con la piscina. Mentre sul lato opposto della provinciale, su cui corre un fermento di trattori con rimorchio carichi di riso appena mietuto, s'impongono il castello e la torre quadrata, l'unica rimasta, alta quarantotto metri, edificati intorno all'anno Mille.
Costeggiandone le mura, supero un arco in mattoni e mi trovo sulla piazza su cui s'affaccia la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta. Alcuni ragazzi in bici pedalano mettendo tutta l'energia che hanno in corpo, mentre una mamma segue due bambini di ritorno da scuola, con gli zaini sulle spalle, e un uomo passeggia con il cane.
La strada interna scorre tra due file di case a due piani senza troppo spiovente, attaccate le une alle altre. Tanti cortili, convivenze che immagino non siano sempre facili, eppure così densi di valore nella vita rurale di un tempo. Ci sono negozi, almeno due di generi alimentari, la farmacia, il bar, il giornalaio, i parrucchieri e la ferramenta. Giunta a un bivio, un cartello ricoperto di ruggine indica la direzione per la stazione ferroviaria e Rovasenda ne conta due. Sono vicine ma sfalsate di una decina di metri, collegate da una scalinata. La prima linea, attivata nel 1905, collegava Santhià ad Arona ed è in stato di abbandono da una decina di anni. La seconda, inaugurata nel 1939 e tuttora in funzione, collega Biella a Novara. Lo spazio che le distanzia è un groviglio di rovi, in cui si perdono due file di binari. È una scenografia da film western: mi aspetto di vedere un cowboy a cavallo.
Riprendendo i miei passi, sempre accompagnata dal vociare dei ragazzi in bici, seguo il camminamento pedonale di un verde intenso che contrasta con la casa gialla in fondo alla via, sul cui muro spicca una colombaia. Sul lato opposto della strada lo stabile del municipio accoglie anche la scuola. Di fronte zampilla la fontana.
Non distante incontro il castello "nuovo", costruito ai primi del Novecento a seguito di dissapori fra gli eredi del castello "antico". La progettazione porta la firma di Carlo Nigra, noto per aver eseguito studi sull'architettura medievale subalpina. La residenza, come mi dicono, ha nuovi proprietari ed è in ristrutturazione.
Fra gli alberi, all'improvviso, transita un convoglio e a me ritorna un nome, Belluca, il personaggio pirandelliano che si ridesta al fischio del treno, che io oggi a dire il vero non sento, ma la situazione produce ugualmente il medesimo effetto: è il ritrovare una propria dimensione, quella dei piccoli paesi. Di Rovasenda.
Anna Arietti
(testo e immagini)
Collegamento al video, che talvolta non è visibile su smartphone: https://youtu.be/e9uTSFd6BGs
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