Ala di Stura vanta un'alta concentrazione di meridiane e di affreschi, ma ad agganciare me è la locandina di un corso di lingua francoprovenzale, parlato dalla popolazione, che sento amabilmente alternato al piemontese. Idiomi che nel mio sentire sono lingue minoritarie da valorizzare. Alla cortesia di scandire per me una frase in francoprovençâl si presta un uomo che dice: "Cod vol savé che dopo at capés niént". In realtà comprendo e allora replico nel mio piemontese: "L'è nèn vèi, iù capì tüt - non è vero, ho compreso tutto". L'uomo si sorprende e la gag finisce in risata.
All'esposizione di lavori creativi allestita in paese, incontro un antiquario di Ciriè che dice di essersi reinventato il mestiere dopo aver perso il lavoro. Sento passione che va oltre lo scovare bei pezzi; sa anche proporli. Non vedo l'espressione del viso, coperto dalla mascherina Covid, ma gli occhi brillano. La conversazione ritorna poi alla lingua che: "Basta spostarsi di poco per non capire più niente".
La "Passeggiata dei nidi" è una mulattiera che sale da Villar al Cresto, attrezzata dai bambini della scuola con delle casette, nidi per uccelli. Su di una fontana leggo: "Fa 'd bin a tuti coume la sourdjont i dounet da beiri sensa tchama' gnente an cambi" - fai del bene a tutti, come la sorgente dona da bere senza chiedere nulla in cambio -". Non distante una donna, con i capelli raccolti a cipolla, distribuisce croccantini a una colonia felina. Con lei condivido le attenzioni per i pelosetti.
Prendermi il tempo di dialogare con le persone è arricchirmi di visioni.
Da Balme in poi la montagna aggrotta le sopracciglia. È di una bellezza severa e spigolosa. I bastioni rocciosi costeggiano tutto il borgo. M'imbatto in un gruppo di camosci e leggo della presenza dell'aquila reale. Avverto un senso buono di isolamento, di spontanea interazione con la natura.
Una sosta mi porta da Cristina e Pietro, il cui bar in origine apparteneva allo storico Albergo Camussòt, come sala da tè e caffetteria. Il locale è stato sede dell'Associazione culturale "Li Barmenk" che dà il nome anche a un gruppo musicale.
Alle pareti ci sono fotografie in bianco e nero, giorni di festa con la maji dou bord, il maglione con ricamo che oggi ritorna nei giorni di Sant'Anna e della Trinità, e di attrezzi antichi come la tràpa, due barre di legno unite da una corda che serviva per trasportare il fieno.
Erano gli Anni Trenta, quando il nonno di Pietro diventava campione italiano di sci di fondo. Lo Sci club di Balme competeva negli sport invernali con Bardonecchia e Sestriere.
Michelangelo, classe 1942, mi racconta della casaforte del Rociàs (Lou Routchàss) del 1400, con affreschi del 1600, la grande casa all'interno della quale in inverno si svolgeva la vita della comunità, suddivisa in piccole abitazioni. C'era persino il forno per fare il pane. La soluzione proteggeva ed evitava di spalare tanta neve, che ancora nel 1972 raggiunse i quattro metri e nel 2008, un metro e quaranta in una sola notte.
Un cerchio alla testa m'impedisce di raggiungere il Pian della Mussa, una conca erbosa che chiude la valla a quota 1.850 metri, contornata da vette e ghiacciai che superano anche i 3.000. Mi soffermo allora a osservare l'acqua turchese che scorre sotto il ponte di Bogone, datato 1713, mentre con una passeggiata, raggiungo la scenografica cascata della Gorgia.
Tornando a valle mi fermo a Céres per acquistare la toma dël làit brusch, formaggio tipico che poi così acido non è.
La cultura alpigiana della Val d'Ala, identità imprescindibile, si intreccia con una vocazione turistica raccolta che la mantiene autentica.
Anna Arietti
(testo, immagini e voce)
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baffidigatto.com
(montaggio video-racconto)
durata 6 minuti e 38 secondi
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bello davvero
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