Il pensiero è di Andrea Rosso, 19 anni, di Cossato e nasce nell’ambito del bilinguismo Lis, un progetto che raccontato dai ragazzi offre spunti sui quali il mondo degli adulti dovrebbe riflettere.
“I miei primi ricordi legati alla lingua dei segni risalgono alla scuola primaria – spiega -. Nella mia classe c’erano bambini sordi e all’inizio ne avevo paura. Li sentivo diversi da me, quasi una minaccia; avevano una menomazione che non comprendevo. Poi, grazie alla scuola, mi sono reso conto che il crescere insieme ci ha resi più forti. Noi abbiamo un’opportunità in più per comprendere la vita. La diversità fa parte di noi”.
Andrea dice di rendersene conto quando si confronta con gli amici che hanno compiuto il percorso didattico tradizionale. “Loro sono in imbarazzo quando devono affrontare una situazione diversa da quella che considerano normale. Io invece ho ampliato le amicizie e ho imparato a comunicare spontaneamente con l’espressione del viso e con gli occhi, anche con gli udenti. Questo aiuta nei contatti umani. Un altro vantaggio ad avere in classe l’interprete che traduce con i segni è che quando ti distrai puoi seguire la lezione una seconda volta, ma di questa utilità forse non dovrei dire nulla”.
Anche Sabrina Frassanito, 23 anni, di Cossato, ha una storia da condividere: “Io sono nata con il progetto di bilinguismo. Era il 1994, avevo tre anni e i miei genitori mi avevano iscritta al primo anno di scuola materna, nella sezione Lis che iniziava quell’anno, pensando che il percorso poteva rivelarsi una risorsa per me e così è stato. La lingua dei segni è la mia passione. Non ho mai smesso di inseguire il sogno finché è diventato realtà e da tre anni sono interprete. Comunicare con una lingua non orale è per me del tutto naturale e il rapporto con gli studenti è meraviglioso. L’aspetto triste è che sono una degli interpreti precari ed è un dispiacere perché il progetto è valido. In alcune famiglie, per questa carenza di fondi, si creano situazioni al limite della ragionevolezza”.
Valentina Magni, altra giovane interprete, dice: “È un’esperienza entusiasmante che dà soddisfazioni professionali e personali. L’unico aspetto negativo è la precarietà. Considerando che siamo presenti in tutti gli enti pubblici, nei tribunali, negli ospedali, nelle scuole e garantiamo pari opportunità di apprendimento, sarebbe ora che lo Stato riconoscesse la Lis e la nostra figura, ponendo fine a un precariato assurdo”.
Anna Arietti
Scritto per La Nuova Provincia di Biella – 12 Ottobre 2014
L’utilizzo di piccole parti è concesso a condizione che venga sempre citata la fonte, nome e cognome dell’autore e questo sito web. Siamo grati a coloro che ce ne daranno comunicazione.
Per informazioni o segnalazioni potete scrivere a cartabiancamedia(at)gmail.com
“I miei primi ricordi legati alla lingua dei segni risalgono alla scuola primaria – spiega -. Nella mia classe c’erano bambini sordi e all’inizio ne avevo paura. Li sentivo diversi da me, quasi una minaccia; avevano una menomazione che non comprendevo. Poi, grazie alla scuola, mi sono reso conto che il crescere insieme ci ha resi più forti. Noi abbiamo un’opportunità in più per comprendere la vita. La diversità fa parte di noi”.
Andrea dice di rendersene conto quando si confronta con gli amici che hanno compiuto il percorso didattico tradizionale. “Loro sono in imbarazzo quando devono affrontare una situazione diversa da quella che considerano normale. Io invece ho ampliato le amicizie e ho imparato a comunicare spontaneamente con l’espressione del viso e con gli occhi, anche con gli udenti. Questo aiuta nei contatti umani. Un altro vantaggio ad avere in classe l’interprete che traduce con i segni è che quando ti distrai puoi seguire la lezione una seconda volta, ma di questa utilità forse non dovrei dire nulla”.
Anche Sabrina Frassanito, 23 anni, di Cossato, ha una storia da condividere: “Io sono nata con il progetto di bilinguismo. Era il 1994, avevo tre anni e i miei genitori mi avevano iscritta al primo anno di scuola materna, nella sezione Lis che iniziava quell’anno, pensando che il percorso poteva rivelarsi una risorsa per me e così è stato. La lingua dei segni è la mia passione. Non ho mai smesso di inseguire il sogno finché è diventato realtà e da tre anni sono interprete. Comunicare con una lingua non orale è per me del tutto naturale e il rapporto con gli studenti è meraviglioso. L’aspetto triste è che sono una degli interpreti precari ed è un dispiacere perché il progetto è valido. In alcune famiglie, per questa carenza di fondi, si creano situazioni al limite della ragionevolezza”.
Valentina Magni, altra giovane interprete, dice: “È un’esperienza entusiasmante che dà soddisfazioni professionali e personali. L’unico aspetto negativo è la precarietà. Considerando che siamo presenti in tutti gli enti pubblici, nei tribunali, negli ospedali, nelle scuole e garantiamo pari opportunità di apprendimento, sarebbe ora che lo Stato riconoscesse la Lis e la nostra figura, ponendo fine a un precariato assurdo”.
Anna Arietti
Scritto per La Nuova Provincia di Biella – 12 Ottobre 2014
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