“Ho iniziato a cimentarmi in cucina frequentando l’Istituto alberghiero di Trivero; già al tempo della scuola ero impegnato a seguire stage nella ristorazione, prima nel Biellese, poi in giro per l’Italia, facendo stagioni nei periodi estivi, nelle festività natalizie, o nei fine settimana, al Lago Maggiore o sulla Riviera romagnola - spiega -. Dopo essermi diplomato nel 2003 ed aver assolto il servizio militare, ho lavorato nella ristorazione a Biella e a Valdengo. All’epoca avevo iniziato a convivere. La voglia di partire, di fare nuove esperienze in giro per il mondo, è scattata quando la storia con la mia ragazza è finita. Ho sentito che era il momento giusto per conoscere nuove realtà, visitare luoghi, approfittando della mia attività professionale”.
Siladen island, nel parco marino di Bunaken, dove si trova Matteo, cercandola sui motori di ricerca si scopre che è uno di quei posti vicino ai tropici che animano le fantasie più oziose e si pensa di aver capito dove stia la forza magnetica, ma non è proprio così.
“Lavoro in un piccolo resort. Sono assunto come chef italiano e lavoro accanto a un cuoco indonesiano. La struttura offre agli ospiti una cucina mista. Contiamo poi sull'aiuto dello staff. Il mio lavoro si svolge tra i fornelli, ma sono anche a contatto con i clienti, offrendo un ampio buffet. Gli italiani che incontro sono tanti, soprattutto ad agosto e a Natale, ma arrivano pure tedeschi, americani, cinesi e giapponesi. Il mio contratto scadrà fra qualche mese; il titolare mi ha chiesto di rimanere, ma non so ancora cosa farò. Ormai sono qui da un anno e mezzo e l’isola è piccola, di conseguenza le opportunità di svago sono poche. Praticamente vivo nel resort, il che è diverso dalla vita fuori. Ho già lavorato per grandi compagnie, in un albergo, in città, so cosa significa e poi, per dirla tutta, mi piace viaggiare. Anche la mia attività dopo un po’ diventa noiosa. Nonostante si possano sperimentare nuove idee, servono sempre nuovi stimoli, anche perché si scoprono culture, tradizioni, anche alimentari, che ancora non si conoscono. Muoversi è crescere sotto il profilo professionale e umano”.
Sull’isola piove. Il segnale di ricezione è basso e la linea telefonica cade di continuo. Appena i capricci meteo lo consentono, la conversazione riprende, il silenzio però ha dato a Matteo il tempo di pensare alle parole che dirà e si fa pacato. “Il mio è un lavoro che richiede passione, perché ti porta via tanto. Lavori sempre e non è semplice. Non è un talent show culinario; ti dà soddisfazione, ma comporta sacrificio, rinunce, come alla cena con gli amici, alla serata in discoteca, alle vacanze o all’andare a sciare la domenica. Certe volte ti mancano quegli aspetti di una vita normale, fatta di orari. Anche avere la ragazza non è semplice, perché deve saper accettare tutto questo. E poi la paga è bassa, non è come in Italia”.
Pensando invece ai ragazzi indecisi sul da farsi nella vita, Matteo si riaccende. “Mi riferisco a loro, ma vale in generale, e dico che si deve partire, assolutamente. Non bisogna avere paura, non bisogna fermarsi di fronte all’incertezza. Soprattutto noi italiani, tanto mammoni, ci mettiamo spesso al riparo dietro ai ‘se potessi, farei’, perché di fatto non si dice addio a niente, ma si lascia tutto e ti devi mettere in gioco, imparare un’altra lingua, conoscere altre culture, che non sempre sono belle come le immaginiamo. A volte integrarsi non è facile, ma merita provare. Ho lavorato due anni alle Maldive, sono stato in Thailandia per un training di cucina molecolare e management e in Egitto. In Indonesia ci sono venuto per far svolgere ai ragazzi del posto un training di cucina italiana, ma poi sono stato ammanettato ad una palma. Mi hanno chiesto di rimanere e l’ho fatto. Anche perché le proposte che ricevo dall’Italia durano tre mesi appena e non danno garanzie, mentre all’estero, anche per motivi legati al permesso di soggiorno, sono di almeno un anno”.
Di incontri interessanti in giro per il mondo se ne fanno parecchi. Gente di Biella poi se ne trova ovunque, ma la situazione che più diverte Matteo è il diventare protagonista per il semplice motivo di essere italiano, o a volte, nei luoghi più remoti, di essere lo straniero. “Accade spesso di finire nelle foto dei residenti, di dover accettare il selfie solo perché sono poco abituati a vedere estranei. Guardando la tivù, ci vedono come degli artisti. La cosa è simpatica, ma anche imbarazzante. Ti ritrovi magari in un centro commerciale circondato da persone che ti osservano e sorridono. Non ci sono sentimenti di razzismo; per loro fai novità”.
Lontano dall’Italia qualcosa manca, ma avere di meno non è sinonimo di sofferenza. Anzi. "Di casa mi mancano certe abitudini, i sapori del cibo, gli amici, la famiglia e soprattutto, essendo di Biella, mi mancano le montagne, pur lavorando in un posto bellissimo. Del resto quando torno a casa, dopo qualche settimana, ho voglia di ripartire. Sarà per la situazione che si vive con la disoccupazione, ma si respira un'aria rigida, stressata. Le persone sembrano impazzite, si lamentano di tutto. In Asia la gente vive più rilassata. L’ho percepito soprattutto in Thailandia, dove sono di religione buddista. Hanno una visione della vita diversa, più semplice. Moralmente stanno bene, anche se hanno meno - conclude Matteo -. Per questi motivi e anche perché non ho ancora una famiglia a cui pensare, moglie e figli per intenderci, l’idea di pagare tasse su tasse, già facendo un lavoro impegnativo, non mi attira. Preferisco viaggiare, almeno mi godo la vita”.
Anna Arietti
(testo)
Immagine di Matteo Abrignani
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