"C'è in Dio, qualcuno sostiene, una profonda, accecante oscurità"
(Henry Vaugham, poeta del XVII secolo citato dal Dott. Eben Alexander in "Milioni di farfalle", Ed. Oscar Absolute))
"Milioni di farfalle", Eben Alexander, Oscar Absolute. Traduzione di Maria Carla Dallavalle. |
In "Milioni di farfalle", il neurochirurgo statunitense Eben Alexander narra la sua esperienza di pre-morte in un'altra dimensione.
I suoi primi passi nell'aldilà si muovono in quello che lui chiama il Regno della Prospettiva del Verme: un ambiente viscido e fangoso, scuro e senza uscita, popolato da filamenti simili a radici o vasi sanguigni che lui può agevolmente osservare intrappolato com'è in quel terreno umido e sporco come fosse un verme affondato nella terra.
Dapprima nulla lo turba, come se quella fosse una condizione naturale.
Ma ad un tratto inizia a percepire quel luogo come estraneo, ne avverte l'insopportabile odore di vomito e sangue, di feci e di morte, e vorrebbe andarsene. Ma dove? Non appena si pone quella domanda, ecco emergere qualcosa di nuovo in quella repellente oscurità senza uscita.
"...mentre mi ponevo quella domanda, dall'oscurità sovrastante emerse qualcosa di nuovo: non era né freddo né morto, né buio, ma l'esatto opposto di tutte queste cose. Se anche ci provassi per il resto della mia vita, non sarei mai in grado di rendere giustizia all'entità che si stava avvicinando...non sarei in grado, neppure lontanamente, di descrivere quanto fosse bella. Ma ci proverò".
Da quell'istante ha inizio il suo viaggio nei "regni superiori", in volo con la sua guida celeste su enormi ali tra milioni di bellissime farfalle, fino ad accedere ad una sorta di "utero cosmico" in cui percepisce Dio come "un buio fitto straripante di luce".
Durante il suo viaggio, suo malgrado dovrà fare più volte ritorno al Regno della Prospettiva del Verme; ma di volta in volta si sentirà sempre di più come un visitatore in grado di osservare con distacco quel fango mostruoso, senza più sentirlo come parte di sé, senza esserne nuovamente intrappolato. Lo percepirà per quello che é: uno dei tanti piani dell'esistenza necessari all'evoluzione e alla crescita. E riuscirà sempre più agevolmente a risalire alle porte del cielo, avendo appreso che "conoscere e pensare a una cosa è tutto ciò che serve per avvicinarsi ad essa".
"...dopo essere tornato nel regno inferiore, mi ci volle parecchio tempo per scoprire che effettivamente avevo un margine di controllo sul mio percorso, che non ero più intrappolato, (...) Ad un certo punto, immerso nelle profondità oscure, mi trovai a desiderare che tornasse la Melodia Avvolgente. Dopo un iniziale sforzo per ricordare le note, la musica meravigliosa e la vorticante Sfera di luce da cui sprigionava sbocciarono nella mia consapevolezza. Penetrarono ancora una volta nella melma gelatinosa, e io cominciai a salire".
Nelle notti dell'anima e nei regni oscuri, quanti demoni gorgogliano nel fango.
Forse nel loro rozzo linguaggio primitivo ci stanno solo urlando a squarciagola che è tutta un'illusione, che non ci sono prigioni, di guardare un po' più su, d'immaginare uno sprazzo di bellezza.
Forse sono anche loro creature di luce in cammino insieme a noi.
Ci sono sere buie che preludono a notti ancora più oscure e ad albe che sono un'incognita - potrebbero essere pigre e opache o forse premurose dispensatrici del coraggio che stavamo cercando, di energie inaspettate, di inattese aperture al futuro.
Ci sono notti che stridono fortemente - quasi sogghignando - con tutti i fantastici milioni di minuti in cui si è viussuti ricevendo e donando luce, o almeno cercando di farlo.
Ci sono notti come questa, in cui non solo non si vorrebbe essere mai nati, ma si vorrebbe morire all'istante, sparire dalla faccia della terra senza poi in qualche modo rinascere nel regno dello spirito. Volatilizzarsi. Senza traccia sulla terra.
Senza traccia nel cielo.
Senza traccia del ricordo di nessuno.
Senza traccia nella memoria di Dio.
Essere il mulla.
Sciogliersi insieme alle proprie lacrime, come la neve che scivola a valle con i ruscelli e si mescola alle loro acque limpide e nessuno se ne accorge.
Liquefarsi alla carezza delle lacrime come una statua di sale insieme a tutto ciò che si è, a tutto ciò che gli altri pensano che tu sia, assieme ai volti delle persone per sempre vive nel proprio cuore, insieme alle decisioni prese e da prendere che ti schiacciano l'anima.
Disintegrarsi sotto al peso insostenibile della propria debolezza, e con essa morire per sempre.
Tutto questo è rinchiuso in una sera che sembra non offrire altri confini se non quelli delimitati da altissime muraglie a cui nemmeno il cielo può sfuggire.
Non più confini di paesi nuovi.
Non più persone care da conoscere.
Non più amici nuovi a cui donarsi.
Non più dolori contro cui lottare.
Non più momenti - sebbene infantili - di ribellione.
Il Nulla è il vestito da sera dell'anima, in una notte come questa, e manette e catene e lucchetti senza più chiave sono i suoi gioielli. Una notte che speravo di non incontrare mai, in cui a ben poco serve il mio mondo fatto di fiori e di fili d'argento...
(Enea Grosso,da "Fili d'amore", Ed. Fonopoli, 2001)
Tutto sembra perso
il cuore consumato
l'anima un lenzuolo abbandonato
ai confini del mondo
Poi all'improvviso
torna il cielo.
(Enea Grosso)
(Reiner M. Rilke)
Un ringraziamento al fotografo Fausto Majocchi per aver messo a disposizione le immagini del suo arichivio.