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mercoledì 20 luglio 2016

Tsundoku e poesia. Emily Dickinson.


 L'estate è generosa. Regala qualche mezz'ora ai tentativi - vani - di riordino  della libreria  casalinga.  Così i volumi a destra vengono spostati a sinistra e viceversa... mentre  quelli accumulati sul pavimento in linea di massima restano dove sono,  oppure finiscono in enormi buste di plastica colorata che danno una parvenza di bizzarro ordine o - meglio - di contenimento di un'altrimenti inesorabile espansione libresca a macchia d'olio sul tappeto e fin sotto al tavolo. 

"Lost in translation" ii Ella Frances Sanders, Ed. Marcos y Marcos

 Sfogliando "Lost in translation" di Ella Frances Sanders, ho recentemente scoperto che in giapponese esiste un termine specifico per indicare "un libro comprato ma non ancora letto, di solito impilato con altri libri mai letti": tsundoku.
Ciò mi conforta alquanto. Significa che il fenomeno è diffuso ben al di là dei muri del mio studio. 
Nell'enorme  borsone accanto alla porta, su tre nutrite pile, convivono in buona armonia voci molto diverse tra loro: mentre scrivo, con la coda dell'occhio vedo ammiccare Anais Nin, Ildegarda, Castaneda e un libro di cucina vegana. 



Per qualche mese anche Borges ha dovuto adattarsi alla vita comunitaria del gruppo tsundoku. Poi è passato ad una categoria intermedia tra quest'ultima e quella dei libri già letti (o  spesso consultati): la categoria dei libri letti a metà, quelli che  anche per un anno si spostano con me pigiati  in fondo alla borsa, tra le chiavi, le  bottigliette d'acqua, il cellulare, buste di zenzero e papaya disidratata, il taccuino per gli appunti, gli occhiali, dentifricio e spazzolino, briciole di tarallini  e parecchie altre cose.
 A parte L'Aleph e le Venti Vite del Budda tradotte da Noor Inayat Khan (o altro di piccole dimensioni),  spesso si tratta di libri di poesia, perchè la poesia è magica:  bastano pochi minuti di sana solitudine per soffermarsi su qualche verso, e ciò è già sufficiente  per ritrovare respiro e  riconciliarsi con se stessi e il mondo. 
Nel corso di una frenetica giornata, una pausa caffè in compagnia di una fetta di torta e  di Emily Dickinson è un piccolo,  prezioso balsamo di luce. 


Tra le sue composizioni, ecco la mia preferita, quella che ho sempre ben presente anche senza averne il testo in fondo alla borsa. 
E' stato amore a prima vista fin dalla prima lettura, tanti anni fa.

"There is a solitude of space
A solitude of sea
A solitude of death, but these
Society shall be
Compared with that profounder site
That polar privacy
 A Soul admitted to itself -  
Finite infinity".

"Vi è una solitudine dello spazio,
una solitudine del mare,
una solitudine della morte, ma queste
saranno una folla
a confronto di quel luogo più profondo
quella polare segretezza,
un'anima ammessa alla propria presenza - 
finita infinità"

(Emily Dickinson tradotta da Massimo Bacigalupo, Arnoldo Mondadori Editore)






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