martedì 8 marzo 2016

Il Fiume dei FIori


Testo e immagini di Enea Grosso 




Gompa a Thukse
 Aveva camminato tanto per giungere a quel monastero appollaiato a ridosso d’una montagna. Girandosi indietro, quando ormai mancavano pochi metri all’ingresso, pensò che sì, la bellezza dell’altopiano vista da lassù valeva da sola tutte quelle ore di viaggio e di fatiche.

Anche l’eremita, che gli apparve quando aprì la porta, non lo deluse affatto: era come ci si aspetta che un saggio eremita debba essere – avvolto in una specie di lenzuolo bianco, i capelli e la barba lunghi e candidi con qualche sfumatura d’hennè, la pelle bruciata dal sole delle grandi altitudini, gli occhi penetranti che andavano al di là dello sguardo dell’interlocutore, direttamente nella sua anima.

Appena il Vecchio dinanzi a lui gli fece cenno di sedersi abbozzando un sorriso, il giovane non esitò a porgli la domanda che lo aveva spinto fin lassù.

“Ho sentito dire che Lei sa il segreto della felicità, e che conosce il portafortuna più potente del mondo”.

L’ uomo fissò il ragazzo e sorrise.

“Sembra simpatico”, pensò il giovane ospite. “Ma speriamo non sia un burlone…”.

“La risposta che cerchi è semplice. Devi andare fino al Fiume dei fiori – meglio in una notte di luna piena – e tenerti pronto: quando meno te l’aspetti, sulle acque del fiume arriverà un’ondata di fiori.

La corrente non è impetuosa, quindi, se sarai vigile e lucido, avrai il tempo per osservarli ed individuare il tuo in mezzo agli altri. Una volta visto, prendilo, portalo con te, tienilo sul cuore. ”

“Ma….Cosa succederà quando il fiore sarà appassito?”.

“Una volta trovato, non c’è sole ne’ vento ne’ gelo che possa farlo appassire. Solo se il tuo cuore appassisce, allora sì, anche il fiore morirà”.

“E’ tutto?”.

“Sì!”, rise di cuore il Vecchio. “Cosa ti aspettavi? Corna di liocorno conservate tra i ghiacci, lingue di serpente imbalsamate? “. E iniziò a ridere, a ridere così di gusto, che al giovane venne il dubbio che si stesse prendendo gioco di lui.

“No, non ti sto prendendo in giro, non mi permetterei mai di farlo”, gli disse, come se gli avesse letto nel pensiero. “Forse mi legge davvero nel pensiero”, pensò il Giovane, un po’ disorientato.

I saggi sono vecchi, hanno la barba lunga, siedono impassibili nella posizione del loto, ma di solito sono tanto seri, no? Mah… Ad ogni modo, meglio così. Meglio un eremita burlone che un eremita antipatico.

“E quanti …draghi devo affrontare per raggiungere il Fiume dei Fiori ?”, chiese, cercando di rispondere allo scherzo.

“Oh, sapessi, sapessi quanti, avresti rinunciato a salire fin quassù!” Ma rise di nuovo, per poi tornare immobile ed impenetrabile come quando gli era apparso il primo momento.

“Il più è fatto. Il fiume non è lontano da qui. Devi scendere fino all’altopiano, attraversare i prati molli d’acqua attorno al lago salato, valicare la montagna che vedi laggiù, e troverai il fiume dall’altra parte. Si chiama il Fiume dei Fiori, ma in realtà è solo un torrente di montagna un po’ più grande degli altri. Sai com’è, la gente ama esagerare. Per chi abita qui, e mai ha visto i veri grandi corsi d’acqua, anche questo è un fiume”.

“Ma se è così facile, perché non tutti sono felici?”.

“Ottima domanda. Per prima cosa, non molti hanno voglia d’iniziare una vera ricerca; poi, se anche vengono a sapere di me, non hanno voglia di cercarmi e di viaggiare fin quassù. Il viaggio non è impossibile, ma richiede pazienza, convinzione, fatica. Bisogna avere il coraggio di prendersi del tempo per sognare, prima d’ intraprendere il cammino fino a quest’alta montagna, e non è cosa di cui tutti siano capaci. Ora riposati, e domani sarai pronto a ripartire”.

Il Giovane ringraziò e ascoltò il suo consiglio.

All’ alba partì, non prima d’aver cercato il suo bizzarro ospite in tutti gli angoli , ma era sparito. “Si vede che non gli piacciono gli addii”, pensò. E iniziò la sua discesa verso il lago salato. 




Tsokar Lake


Il cammino non fu faticoso, anche grazie alla bellezza del paesaggio, le cui sfumature di colore cambiavano all’avanzare del pieno giorno. Il confine tra il lago e i prati era indefinito e confuso per via dell’alternarsi delle grandi zolle d’erba e delle pozzanghere che rispecchiavano i monti circostanti in una tavolozza d’acqua stagnante, rocce saline e riflessi verdi e azzurri.

Quando raggiunse l’estremità opposta dell’altopiano, si sedette su di un tratto asciutto e sabbioso per riposarsi e respirare a pieni polmoni tutti quei colori che gli danzavano intorno. Masticando i pezzi di formaggio che gli aveva regalato l’ Eremita, ebbe la sensazione di star seduto nella corolla di un gigantesco fiore cangiante. Che fosse già quello il portafortuna? Quella pace di cui s’accorse d’essere pervaso, non era forse quella la felicità che era andato sempre cercando?

Rinunciò ad arrovellarsi in pensieri aggrovigliati, e lasciò che i suoi occhi diventassero tutt’uno con le nuvole. 


Tsokar Lake
In nemmeno due ore di buon passo fu quasi in cima alla montagna. Si girò a gettare ancora uno sguardo all’altopiano, e si diresse senza indugio al valico. Il sentiero ogni tanto sembrava sparire tra i sassi, ma poi riappariva una decina di metri più avanti. Evidentemente non era un tratto molto battuto, se non dai venti, e in tutte le stagioni.

Il paesaggio dall’altra parte non era dissimile da quello che si era appena lasciato alle spalle: versanti di terra friabile e pietre, rocce grigio-verdi, ocra e nere, una grande distesa erbosa piatta e immobile, deserta, ovunque la stessa silenziosa bellezza. Qualcosa luccicava in lontananza. Sebbene la luce iniziasse a farsi più fioca, non ci si poteva sbagliare: era il grande ruscello.

Fece appena in tempo a raggiungerlo, e calò la notte. Tre quarti di luna brillavano nel silenzio solo per lui, accoccolato nella sua tenda, con la punta del naso che sporgeva fuori a scrutare l’oscurità e l’acqua argentea e gelida.

Cercò di dormire con un occhio sì e uno no - era meglio star vigili ! – ma visto che nessuna ondata fiorita fuori programma sembrava profilarsi all’orizzonte, si lasciò vincere dal sonno ristoratore. 



Nei pressi del Pastureland Camp
“Non ho chiesto all’Eremita se la magia dei fiori accada ad ogni alba oppure… magari ho sognato tutto! “. Sognò se stesso in preda al dubbio d’aver capito male, d’aver sbagliato luogo e ora, sognò il Vecchio che rideva a crepapelle facendosi beffe di lui, e che si moltiplicava in dieci, cento, infiniti Vecchi che lo guardavano severi; e poi gli parve che ce ne fosse di nuovo uno solo in un labirinto pieno di specchi in cui si vide perdere i sensi come in preda ad un’ubriacatura, tanto la testa gli girava, girava, finché crollò a terra; e in quel tonfo si svegliò di soprassalto. Era ancora buio, ma la striscia luminosa dell’alba iniziava a scorgersi in lontananza.

Uscì dalla tenda, e fece appena in tempo ad immergere le mani nell’acqua fredda, che subito divenne più impetuosa, e in un attimo fu tutta pervasa da un ribollire appena percettibile.

Si bagnò il viso e si tenne pronto. Capì che il momento era arrivato.

Non ci fu fragore d’onde, il ribollire non aumentò, il ruscello non iniziò a ruggire impetuoso; ma, nel silenzio tra l’ombra e la luce, il Giovane iniziò a scorgere qualcosa d’insolito scivolare sulla superficie. Come nati dal nulla, i fiori iniziarono ad arrivare a decine, anzi, centinaia, come se lungo le rive ci fossero mani invisibili a vuotarne a ceste senza smettere nemmeno per un secondo. L’unico spettatore era a bocca aperta, senza parole, così ammaliato da quella cascata di colori che stava per dimenticarsi lo scopo del suo pellegrinaggio fin lassù. 

“Il portafortuna! Accidenti, non ho fatto attenzione! E se il mio fiore fosse già passato? Oh, no! “.

Aveva il cuore in subbuglio: da una parte la paura di aver perso l’occasione della sua vita, dall’altra un’insolita sicurezza che gli diceva “stai tranquillo , tutto è come deve essere”.

Respirando a fondo iniziò a scrutare con attenzione tutte quelle corolle che gli danzavano incontro e finalmente i suoi occhi si fermarono su di una rossa fiammante, che spiccava in mezzo ad un gruppo di compagne di viaggio bianche e azzurre. Era la sua, era lei, ne era sicuro, e quasi gli volesse rispondere, quella specie di margherita d’alta montagna rimase un po’ indietro rispetto alle altre, forse impigliata in un filo d’erba che cercava di trattenerla.

Il Giovane si tuffò senza indugio. 



Prati intorno al lago Tsokar

Percorse la via del ritorno fiero come un re, senza quasi avvertire alcuna fatica, ne’ appetito, ne’ sonno. Il mondo brillava dentro e attorno a lui, bello e colorato come il suo fiore magico.

Finalmente giunse a casa, e tutti, in città, notarono in lui qualcosa di diverso e regale.

Amici, conoscenti, vicini di casa, e poi anche sconosciuti presero a domandargli cosa avesse fatto, dove fosse stato, quale fosse il segreto di quella luce invisibile che emanava da lui, e che tutti potevano avvertire e quasi toccare.

A tutti il ragazzo indicava con orgoglio e riconoscenza il fiore rosso che portava sempre con sé, e con semplicità raccontò del suo viaggio, dell’Eremita, del Fiume . La felicità era un dono degli dei per tutta la gente del mondo... e nessuno aveva il diritto di tenerne nascosto il segreto.





Accadde un giorno che qualcuno, approfittando della piccola folla che si era riunita attorno a lui, gli strappò il fiore dal petto, e corse via. Tutti ne furono indignati. Il ladro fu cercato invano, sembrava sparito nel nulla. Ciò nonostante, la fiducia del Giovane non fu minimamente scalfita. Evidentemente il portafortuna non perdeva il suo potere anche da lontano. Al momento del furto si era ricordato dell’ultima raccomandazione del Vecchio: nessuno poteva cogliere un fiore per un altro, né per il proprio padre, per la propria madre, o moglie o marito, né per il più caro fra gli amici e i fratelli. E nessuno poteva veramente rubare il portafortuna di un altro, sperando di avvantaggiarsene: ognuno doveva intraprendere il proprio viaggio, tuffarsi nel torrente e pescare il proprio. Per questo se ne restava tranquillo, e niente avrebbe mai più potuto spegnere la fiamma della sua gioia.

Circa un mese dopo, scostando di lato le tende della finestra in cucina, vide qualcosa di rosso brillare sul velo di neve che aveva imbiancato il cortile nella notte: era il suo fiore!

La corolla a lui tanto familiare spuntava da una bella busta color pervinca posata per terra. Conteneva anche una lettera: 

“ Ho sbagliato a rubarLe il fiore, e non oso presentarmi di persona a chiedere scusa. Le scuse non sarebbero comunque mai abbastanza. Il portafortuna è suo e solo suo, e non mi ha portato alcuna felicità: anzi, il veleno dell’invidia e della delusione aumentava in me di giorno in giorno. . . finché non ho deciso di restituirglielo. Da quell’attimo, anche se il portafortuna era ancora in mano mia, qualcosa in me è cambiato.

Quando leggerà queste righe, io sarò già in cammino verso il Fiume di cui Lei ha parlato tanto generosamente. Spero d’avere il coraggio d’incontrarla al mio ritorno. Le auguro ogni bene”.

“Che sia un buon viaggio!”, pensò il Giovane, e rientrò in cucina .



Mano a mano che il tempo passava, sempre più gente – chi vincendo la pigrizia, chi il dolore, chi l’abitudine – intraprendeva il cammino verso quell’altopiano magico, e se ne tornava cambiata, leggera, sorridente, persino più giovane e vigorosa.

Nel giro di un anno, chiunque arrivasse per la prima volta in quella città, non poteva che stupirsi: ovunque c’erano persone gentili e pronte al sorriso, e, cosa che balzava subito all’occhio, quasi tutti portavano al petto un fiore diverso.

“Qual è il vostro segreto?”, chiedevano i forestieri.

“E’ il fiore che portiamo sempre con noi”.

“Tutto lì ? Li coltivate? Non potete vendermene uno?”.

“Eh, no…”. E con pazienza, ora l’uno ora l’altra spiegavano la storia del ragazzo e tutto quanto per filo e per segno.

“Sembra così facile!”.

“Lo è”, rispondeva con un sorriso la persona interpellata.

A dire il vero, non proprio tutti riuscivano sempre a trovare la strada fino al fiume al primo tentativo, e qualcuno non raggiungeva nemmeno l’altopiano da cui si iniziava a scorgere l’eremo; dopo giorni di continuo girare in tondo, tornavano sconfitti e sfiduciati sui loro passi.

“In cosa abbiamo sbagliato?”, chiedevano allora al Giovane. “Ci voleva forse una cartina?”.

Lui li lasciava parlare, e scopriva quasi sempre il solito impedimento: quelle persone avevano intrapreso il cammino con troppa fretta, caricandosi del fardello della preoccupazione e del timore che i fiori potessero esaurirsi, e convinte che bisognasse correre, correre veloci, prima che se li portassero via tutti gli altri! In quel modo viaggiavano pesanti, si stancavano, non si godevano il paesaggio, sudavano ed inciampavano, la loro vista si annebbiava e perdevano le forze e la rotta. Ascoltandoli e consolandoli, al ragazzo tornavano ogni volta in mente le parole dell’Eremita : “bisogna permettersi il coraggio di sognare, prima d’intraprendere questo cammino!”. E come era vero! Era la prima condizione indispensabile, prima di ogni altra. Senza di quella, ogni sforzo era vano.



Un giorno il Giovane decise di tornare a far visita all’Anziano Amico, sia per ringraziarlo, sia per il puro piacere di parlargli di nuovo e di rivedere quella terra che gli era rimasta nel cuore.

Giunto a pochi metri dall’ingresso del piccolo monastero, si girò ad ammirare l’altopiano, come aveva fatto la prima volta. 

Il cuore stava per balzargli fuori dal petto, ma non era per la fatica dovuta all’altitudine: era il piacere d’essere di nuovo lì, e di sentirsi a casa. Con mano leggera e un po’ tremante – eh, sì, e se il Vecchio non ci fosse stato? e se non si fosse ricordato di lui? – posò la mano sulla porta socchiusa. Prima di aprirla, sfiorò i petali rossi, e seppe di nuovo che tutto era esattamente come doveva essere. 
Gompa a THukse
Il Vecchio era seduto immobile, con la schiena rivolta verso l’ingresso. Quando l’ospite entrò senza far alcun rumore, si udì la sua voce: “Bentornato”.

“Mi hai visto attraversare l’altopiano?”.

“Forse…O forse no! Ti ha preceduto la nuvola della tua gioia. Bravo, quanta pacata saggezza hai acquisito. Sei gentile ad aver fatto tanta strada solo per ringraziarmi. In realtà devi ringraziare solo te stesso. Io non sarei mai esistito, se tu non mi avessi cercato”.

Saggezza, sì, certo; ma l’Eremita riusciva ancora a disorientarlo.! Non era sicuro d’aver afferrato bene il senso delle sue parole. Ne aveva ancora di strada da fare! Ma non disperava. Non pose altre domande e rispose al sorriso del suo enigmatico ospite.

“Be’ , però almeno al fiore devo proprio essere grato”.

“Sì, è giusto essere grati a tutti i fiori, danno bellezza al mondo”.

“Ma questo è un portafortuna magico, viene dal fiume dei Fiori ”, rispose con entusiasmo.

“Certo, certo…Ma senza il tuo cammino, né il fiume né il tuo bellissimo fiore sarebbero mai esistiti. Tutti i fiori portano felicità, e, in qualche parte del mondo, c’è chi non ha nemmeno bisogno di salire fin qui, per scoprirlo”.

“Quindi…vuoi dire che la mia margherita è come tutte le altre? Che non ha poteri? Che tutto è stato vano?”

“Pongo a te la tua stessa domanda, mio caro amico dubbioso: questi petali non servono a niente? Il tuo viaggio è stato un fiasco? La tua veglia al freddo dell’altopiano non ti ha portato a nulla?”.

“No, affatto, la mia vita è cambiata, io sono cambiato, tutta la città è cambiata! Ma mi sembrava di capire che tu avessi detto che alla fine il mio fiore è ordinario e che forse ho sognato tutto e che…che niente…che tutto… che…”.

“Vedi, allora: ti sei dato la risposta. Tutto si è illuminato da quando sei salito fin quassù…e il tuo fiore è intatto. Quindi è magico! Questo è tutto”.

“E’ tutto?”.

Gli sorrise. E tutta la stanza si illuminò, o così parve al Giovane, che in un attimo si trovò fra le zolle d’erba molli d’acqua, e seduto in riva al torrente, e poi ancora sotto alla luna piena nella sua tenda, e poi sulla strada verso casa, e tutto gli sembrò un sogno avvenuto in un solo istante. 


Gompa a Thukse


Quando sollevò il capo e le braccia un po’ indolenzite dal tavolo in cucina, il suo fiore rosso brillava nella coppa di vetro davanti alla finestra come un rubino sbocciato nel sole. 






16 Febbraio 2010










 



















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